Marcello Barretta, aspirante regista e scenografo, attraverso una attenta analisi ci presenta un cambiamento di tecnologia che – forse – potrebbe aprire la strada ad una nuova interpretazione della virtualità. Protagonista di questo articolo è Hogwarts che, vi ricordiamo, nell’ultimo film sarà completamente realizzata in digitale.
La sequenza del Drago come nuova concezione di virtualità
La teoria.
È virtualità quell’immagine che, lungi dall’essere frutto della riproduzione fotografica della realtà, si configura come il risultato o il prodotto di un algoritmo realizzato al computer.
Data questa definizione, possiamo subito iniziare chiarendo come, sino ad oggi, sia stata marcata la soglia tra analogico e virtuale. Parliamo di un’immagine analogica quando, attraverso un processo foto-chimico s’impressiona, sulla zona emulsionata della pellicola, l’immagine di qualcosa che è effettivamente stato, per un certo tempo, fisicamente presente davanti all’obiettivo della Macchina da Presa.
Il cinema è stato infatti più volte indicato come la sindone del mondo, ovvero un lenzuolo – lo schermo o la pellicola – su cui resta un’impronta di qualcosa che ha effettivamente sfiorato, toccato, incontrato, la cinepresa. Quindi una realtà preesistente al “lenzuolo” su cui in un secondo momento (quando tale realtà non esiste già più, come un set smantellato o un attore deceduto o quel tempo impressionato) verrà proiettata. Ciò che viene meno nell’immagine virtuale è il rapporto con una realtà che le preesista, o che esista comunque indipendentemente da lei. L’immagine virtuale cessa di conservare, insomma, l’impronta o la traccia del mondo e diventa un semplice simulacro generato da un linguaggio numerico.
La pratica.
Fino ad oggi questo discorso era più che valido. Le tecnologie di CGI (Computer Graphic Images) hanno permesso, sin dai loro primissimi passi negli anni ’70, di creare, puntino per puntino, pixel by pixel, linea per linea, innumerevoli scenari e forme, che non sono mai esistiti all’infuori del calcolatore elettronico che li ha generati. Decine di tecnici e programmatori passavano infatti settimane, mesi, anni, a creare, migliorare, elaborare dati che si traducevano in simulacri della realtà, e che finivano nel film – e sul lenzuolo – senza mai essere stati fisicamente esistiti. Tali immagini virtuali dunque non rimandano ad un altro-da-sé a cui riferirsi e da cui ricevere senso, ma sono dotate di un’autosufficienza esistenziale.
L’ipotesi.
Tuttavia, scopo di questa analisi è portare in evidenza un cambiamento di tecnologia che –forse – potrebbe aprire la strada ad una nuova interpretazione della virtualità.
Durante la pre-produzione del quarto film della serie Harry Potter, che si è avviata nel dicembre 2003, si è dovuto affrontare il problema riguardante le riprese dell’inseguimento del protagonista da parte di un drago. Tale inseguimento si svolge infatti in volo, sopra i tetti della scuola-castello di Hogwarts. Lo svolgimento della scena prevedeva piani sequenza e riprese acrobatico-spettacolari intorno alle torri, nei crepacci, sopra e sotto i ponti di collegamento, e perfino attraverso gli archi dei ponti stessi.
Escludendo,per semplificare, tutte le riprese ibride (scene in live-action miste a set-extensions digitali o compositing) possiamo dire che sin dalla Produzione del primo film della Serie, per tutti gli esterni del castello di Hogwarts si è fatto ricorso a una enorme miniatura in scala 1:24 realizzata dalla Cinesite di Londra e dalla AMB-FX. La Cinesite si è sempre occupata, sotto la guida di Josè Granell, di costruzione, manutenzione, illuminazione e riprese della Miniatura agli Shepperton Studios. Nonostante siano stati realizzati anche alcuni “doppioni” di torri e edifici vari in scala maggiore, così da poter effettuare close-up ancora più ravvicinati, la miniatura completa è sempre stata il principale punto di riferimento, ed è diventata famosa per l’estrema realisticità e cura del dettaglio.
Il Problema.
Ma nonostante le grandi dimensioni, le cineprese impiegate per filmarla non potevano effettuare piani sequenza così complessi come quelli richiesti dalla scena del drago. I diversi dolly su cui erano montate non potevano, ad esempio, infilarsi sotto gli archi del ponte, attraversarli e – sempre procedendo velocemente – impennarsi per risalire. Le riprese più esterne al modello dove non erano contemplati movimenti particolarmente elaborati potevano invece essere realizzate in modo tradizionale.
La novità.
Fu così che la Cinesite contattò l’Università di Leeds: quest’ultima aveva sviluppato un particolare tipo di scanner in grado di scansionare superfici tridimensionali. A Ottobre 2004, si cominciò a scansionare ogni porzione dell’enorme miniatura. Il meccanismo – almeno nella teoria – è semplice: lo scanner a laser invia un fascio di luce che colpisce una superficie e torna indietro, e un computer elabora tali dati registrando la lunghezza dei fasci, individuando picchi e gole di qualsiasi dimensione. Così come un normale scanner fa la fotocopia esatta di una pagina di un libro, altrettanto lo scanner dell’Università di Leeds trasferito agli Shepperton Studios ha scansionato in ogni minima parte il modello del castello. La luce ha colpito qualunque dettaglio, qualunque foro, segno, graffio o decorazione della dettagliata texture della miniatura, andando a creare una mappatura tridimensionale digitale completa. L’unica cosa che lo scanner non ha rilevato sono stati i colori, unica componente ricostruita da zero (dunque virtuale al 100%) aggiunta in fase di Post produzione dalle ditte Framestore-CFC e DubleNegative.
Conclusioni: un nuovo tipo di Virtualità.
Grazie alle nuove tecnologie di scansione tridimensionale, mai applicate al Cinema prima d’ora, nasce una nuova virtualità. Se prima l’immagine era simulacrale perché nata a computer e priva di qualsiasi legame con un referente che esistesse al di là di essa, adesso la nuova immagine nata dalla scansione è un’immagine che ha un referente fisico, e da esso è generata.
Se l’immagine analogica equivaleva ad un processo foto-chimico comparabile a scattare una fotografia a una pagina di un libro, ora l’immagine virtuale è comparabile alla scansione di quella stessa pagina. Cambia il mezzo ma in entrambi i casi otteniamo un’immagine-clone che ha l’impronta di un referente che è effettivamente stato, per un certo tempo, fisicamente presente davanti all’obiettivo della Macchina da Presa o – in questo caso – dello scanner.
L’immagine virtuale di cui si è parlato in passato nasceva da un computer, tramite il computer veniva inserita nel film, e sulla pellicola viveva senza rimandare a null’altro che a se stessa e al computer/programma che l’ha generata.
La nuova immagine virtuale nasce dalla realtà, da un oggetto reale, tramite il computer è inserita nel film, e sulla pellicola rimanda all’oggetto di cui è ombra, impronta, come l’immagine analogica