La Warner Home Video Italia ci ha dato la grande opportunità di partecipare ad un evento molto speciale legato alla promozione del lancio in Home Video del settimo adattamento cinematografico Harry Potter e i Doni della Morte (Parte 1). Per l’occasione è stato invitato Ben Hibon, regista a noi ben noto per aver diretto e animato la sequenza della “Storia dei Tre Fratelli” nei Doni della Morte: Parte 1. Cliccando su Leggi Tutto trovate la nostra esclusiva intervista!
Ecco alcune delle domande più interessanti rivolte a Ben. A breve posteremo anche un video dall’intervista!
Guardando ora la sequenza c’è qualcosa che cambieresti? [ride] Credo che ogni volta ci sia sempre qualcosa da migliorare, ciò capita spesso quando lavori ad un film o ad un progetto che si basa su un processo creativo. Sono certo che anche David Yates vorrebbe fare più di quanto non stia già facendo ma comunque credo che con il tempo a disposizione siamo riusciti a raccontare una storia bene e in modo chiaro. Ha trasportato il pubblico in un altro posto e questo era il nostro intento.
Quanto tempo ci è voluto per finire il tutto? Abbiamo impiegato circa cinque mesi e mezzo, quasi sei mesi, sì.
Hai diretto la sequenza da solo o in collaborazione con David Yates? Be’, diciamo innanzitutto che abbiamo prodotto quanto veniva espresso nella sceneggiatura e poi abbiamo discusso di vari argomenti assieme a Yates, Heyman e lo scenografo Stuart Craig. Intendevamo ricercare il giusto stile per l’animazione e quando siamo approdati su un terreno comune ho preso personalmente le redini della regia.
Quali parti sono state più impegnative da un punto di vista dell’animazione? Credo che il mio incubo sia stato l’abito della sposa perchè si frantuma in tantissimi pezzi. Dovevamo creare qualcosa di bello ed elegante ma sempre nei limiti. Insomma, un conto è rendere bello un effetto, un altro è farlo aderire alle tue intenzioni.
L’unico elemento della sequenza animato a due (riduzione del numero di frame al secondo) è il ponte. Puoi dirci qualcosa a riguardo? Praticamente abbiamo voluto sperimentare varie tecniche dal momento che il punto visivo di partenza era saldamente legato al 2D, come le ombre e le sagome stilizzate. Pertanto, quando abbiamo dovuto rendere tutto più tridimensionale le cose sono cambiate. L’animazione a due produce un bell’effetto perchè è simile allo stop motion, è imperfetto. Ciò è un bene perchè a volte il 3D risulta fin troppo pulito, impeccabile. Sfortunatamente non puoi avere elementi animati a due e una cinepresa in movimento. Infatti quando la cinepresa comincia a muoversi l’animazione diventa a scatti, non potevamo insistere su questo artificio. Si tratta comunque di un bell’effetto anche se per un solo elemento.
Quale pensi sia il futuro dell’animazione? Be’, ci sono svariate tecniche, no? Per me l’aspetto più interessante è creare animazione CGI non per riprodurre immagini fotorealistiche ma per creare qualcosa che sia fatto di texture, che abbia una particolare sfumatura artistica. Credo che quello che l’animazione sia capace di fare è permettere all’artista che c’è dietro di esprimersi attraverso linee, sagome e stile, qualcosa che insomma non puoi fotografare. Credo che qualunque tecnica d’animazione che ti permetta di esprimere le tue idee abbia un suo valore. Il punto è che il 3D ti permette di usare a pieno titolo il linguaggio cinematografico in modo che si possa comunicare alle persone qualcosa di facilmente fruibile. Hai a disposizione uno spazio che puoi usare come vuoi, il che è davvero interessante. Stop motion, animazione 2D, hanno tutti un loro valore.
Hai tratto ispirazione da Tim Burton? Sì assolutamente, le opere di Tim Burton hanno avuto un’influenza sia diretta che indiretta. Già da prima mi ero ispirato ai suoi lavori, contraddistinti da una sfumatura dark molto calibrata. Ma credo che la nostra fonte primaria di ispirazione sia stata Lotte Reiniger, un’animatrice austriaca che ha lavorato negli anni 30. Credo che abbia creato qualcosa di molto affascinante in termini di sfondi. Aveva uno stile piano molto bello. Praticamente si trattava di sagome nere su sfondi acquerello, in stop motion. L’abbiamo usata come riferimento fin dall’inizio perchè ai produttori piaceva molto il suo tocco naïve. Si tratta qualcosa di semplice, bello e elegante. Quindi di sicuro ha avuto una forte influenza su quanto abbiamo fatto. Poi ci siamo spostati sul teatro d’ombre indonesiano che ci ha offerto elementi grafici davvero affascinanti.
Come avete integrato la sequenza d’animazione nel film? E’ stato importantissimo collegare la parte in live action con la sequenza d’animazione, renderla parte integrante del film. La chiave stava nell’assicurarsi di preservare il linguaggio delle cineprese, evitando di spezzare il ritmo con qualcosa di completamente estraneo. Era importante rendere la narrazione fluida, ecco perchè abbiamo usato un particolare stile tridimensionale, per preservare i movimenti di camera.
La sequenza è stata un punto di svolta nella tua esperienza professionale? Di certo è stata una esperienza incredibile essere parte di un franchise del genere e di un mondo simile. E’ stato un progetto unico. I produttori, Yates, Heyman, Barron sono stati davvero generosi nel permettermi di esprimere la mia visione personale di un pezzo di Harry Potter. In questo senso è stata un’esperienza così unica per me che, qualunque progetto futuro, resterò con la consapevolezza di aver costruito un pezzo del puzzle di Harry Potter.
Un ringraziamento particolare a Warner Bros Italia, Fantasyplanet e HPItalia per aveci affiancato nell’intervista!